La figura di Giovanni Amendola, a cui è intitolato l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti, torna al centro di un rinnovato interesse storiografico e culturale alla vigilia dei 100 anni dalla morte. Un interesse che intreccia il centenario della fondazione dell’INPGI stesso (1926).
Aperta dal presidente della Camera, Roberto Fontana, giovedì 25 settembre, la giornata di studi ha avviato, in sala della Lupa, a Montecitorio, le iniziative per il centenario amendoliano, presenti anche il vicepresidente Inpgi, Mattia Motta e il segretario generale della Fondazione Murialdi sul giornalismo Giancarlo Tartaglia.
“Amendola, filosofo di formazione crociana, intellettuale raffinato e politico coraggioso, ha incarnato come pochi l’idea di una ragione che non resta astratta ma diventa azione, scelta politica e impegno civile”, ha ricordato la professoressa Emma Giammattei nella sua relazione sul pensiero profondo del liberale. Fu Amendola a coniare per primo la parola “totalitarismo”, apparsa sul giornale “Il Mondo” che lui stesso fondò, un lemma capace di cogliere nella sua radicalità la minaccia che incombeva sull’Italia e sull’Europa.
Sul tratto più prettamente biografico e politico si è soffermato lo storico Elio d’Auria. L’Amendola parlamentare liberale, oppositore e vittima del fascismo perché difensore delle libertà costituzionali; l’antifascista, il leader aventiniano, il protagonista di una stagione segnata dall’omicidio Matteotti. Dopo quell’assassinio, Amendola divenne un simbolo della resistenza morale al regime, fino alle violenze subite dagli squadristi che ne causarono la morte nel 1926.
Negli ultimi anni il profilo di Amendola è stato ridisegnato da studi che ne hanno messo in luce tanto la profondità di pensiero quanto la complessità del percorso politico. Da un lato, i contributi accademici – come quelli tracciati dalla letteratura emerita di matrice filosofica e giuridica – dall’altro, ricostruzioni di taglio storico, come le biografie in uscita l’anno prossimo dello stesso D’Auria e, con un taglio più divulgativo, di Antonio Carioti, giornalista del Corriere della Sera, che mirano a restituirne il ruolo a un pubblico ampio.
Il nipote Giovanni Amendola ha infine ricordato i processi agli aggressori del nonno, sottolineando come la giustizia dell’epoca arrivò a derubricare a “omicidio preterintenzionale” l’assassinio politico, aprendo la strada a scarcerazioni e impunità. Una ferita che resta viva nella memoria repubblicana.
Il centenario si inserisce, dunque, dentro una storiografia ormai articolata, che intreccia l’eredità politica e culturale di Amendola con le vicende turbolente dell’Italia del Novecento. Fu in questo contesto che “l’altra famiglia amendoliana”, quella giornalistica, decise di intitolare a lui l’INPGI nel Dopoguerra, ricordandone il sacrificio come tributo-simbolo della comunità giornalistica italiana al totalitarismo fascista. “La memoria di Giovanni Amendola non riguarda solo il passato ma richiama ancora oggi alla responsabilità di una stampa libera, di un pensiero critico e di un impegno civile che sappia misurarsi con la storia e con le sfide del presente – ha commentato il vicepresidente Inpgi, Motta – Un uomo che ha creduto che la parola potesse essere più forte della violenza, che il giornalismo potesse educare alla libertà, che la politica dovesse restare servizio al bene comune e uno strumento per cambiare le cose. Amendola – conclude – ci ricorda che non basta opporsi al male: bisogna costruire il bene. È questo il lascito che portiamo con noi oggi”.
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