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Gli intellettuali in guerra erano giovani ventenni che avevano cominciato a scrivere su giornali e riviste. Sono 264, i loro nomi sono Stuparich, Serra, Battisti, Gallardi, Boccioni, Niccolai, Umerini ecc. Tutti gli scritti sono corredati da note esplicative, fotografie d'epoca, ritratti dei protagonisti e mappe dei luoghi delle battaglie. Nel panorama storiografico e giornalistico mancava un lavoro capace di unire biografie, storia sociale, storia militare e storia politica. Si tratta di un contributo capace di interessare, storici, giornalisti, appassionati e semplici lettori, anche in virtù della categoria dei giornalisti: storie vere, di uomini in carne in ossa, restituite grazie a una sistematica ricerca storica basata su un'ampia bibliografia, su centinaia di articoli di giornali e su documenti d'archivio.

Il passaggio dal fascismo alla democrazia, da un regime di guerra a uno di pace, dalla monarchia alla Repubblica è stato lungo e difficile. I giornali e i giornalisti sono stati oggetto della trasformazione economica sociale e politica dell’Italia, ma ne sono stati anche il soggetto, nella consapevolezza che la libertà di stampa, di critica, di giudizio, di narrazione e valutazione dei fatti sono l’essenza di una sana democrazia. Per meglio valutare quale sia stato il ruolo e il contributo del giornalismo italiano nell’Italia repubblicana, questo libro ne ricostruisce, sia pure a grandi linee, la vita e le trasformazioni, ma vuole, anche, ripercorrere alcuni degli avvenimenti più significativi della nostra storia attraverso le parole e gli articoli degli stessi giornalisti, nella consapevolezza, come ha scritto un maestro di giornalismo come Tiziano Terzani, che il giornalismo «è un atteggiamento verso la vita, che muove dalla curiosità e finisce col diventare servizio pubblico: è missione». Arricchiscono il volume, permettendone anche una lettura “visiva”, le immagini tratte dall’archivio dell’ANSA.

Il volume ripercorre le vicende dei giornalisti “ebrei” perseguitati in Italia dalle istituzioni politiche e corporative a seguito delle leggi razziali. A partire dal 1938, professionisti, pubblicisti, iscritti agli elenchi speciali dichiarati di “razza ebraica” subirono pesanti condizionamenti, dalla discriminazione all'espulsione dall'albo. La ricostruzione delle loro esperienze – e di quelle delle testate in cui lavoravano – permette di aprire una finestra sulle responsabilità della classe giornalistica in epoca fascista, quando la stampa nazionale divenne una delle espressioni più emblematiche dell'accelerazione totalitaria del regime e il principale motore della campagna antisemita che ne era alla base. Scritto da storici dell'età contemporanea e della letteratura, il libro intende contribuire all'avanzamento della comprensione delle più intime connessioni tra antisemitismo e modernità, tra società di massa e informazione, tra universi professionali e regimi politici, tra giornalismo e potere.

Il volume ritorna sulla straordinaria vicenda di Alfred Dreyfus, accusato nel 1894 di spionaggio nei confronti della Germania, condannato all’esilio perpetuo e alla degradazione e infine “graziato” dopo un’imponente campagna internazionale in suo favore.

Una folta schiera di giornalisti italiani ne seguì le alterne vicissitudini, scrivendo su organi di stampa di orientamento politico e culturale differenti e persino opposti: dal «Corriere della Sera» alla «Stampa», dalla «Tribuna» al «Secolo», fino ai giornali militanti di varia natura.

Gli interventi di letterati e scienziati, esperti di affari militari e giudiziari, uomini politici e diplomatici, rivoluzionari e sacerdoti in esilio compongono un mosaico che restituisce la dimensione polifonica e internazionale di un evento capace di mettere in discussione consolidate convinzioni morali e politiche e di caratterizzare un’epoca densa di tensioni e di contraddizioni, di speranze e di illusioni.

Di fronte alle riflessioni di stretta attualità sulle fake news e la post verità, la satira e la caricatura ci aiutano a comprendere come proprio la deformazione e la falsificazione possano portare alla luce realtà scomode o difficili da osservare. La capacità di far guardare le cose in modo diverso ha quindi una funzione di smascheramento, perché mostra la vera natura che si cela dietro le apparenze. Il libro ricostruisce con questo angolo visuale la storia della satira e della caricatura dalla fine dell’Ottocento ad oggi, privilegiando i momenti di maggior cambiamento. Seguire l’evoluzione di questo genere ci permette così di analizzare la storia del nostro paese attraverso l’arte sottile del ridere e deridere.

 

Stampa Coatta: Giornalismo e pratiche di scrittura in regime di detenzione, confino e internamento.

Come si è articolato il rapporto tra pratiche di scrittura e sistemi coercitivi nel mondo contemporaneo? Secondo quali modalità le esperienze dello scritto – dal giornalismo sino alla pratica diaristica, dalla stampa clandestina sino a quella di prigionia, passando per il linguaggio satirico – sono state influenzate dalle misure costrittive dalle quali hanno tentato di divincolarsi e viceversa?

I contributi raccolti in questo volume esplorano diverse forme detentive – dagli istituti carcerari all’internamento civile e militare, passando per le isole di confino e ai luoghi di esilio volontario – in ambiti spaziali anche molto lontani, dall’Europa agli Stati Uniti, dalla Turchia al Mediterraneo arabo-islamico. La scelta di un arco temporale altrettanto vasto, che abbraccia tutto il Novecento e il secolo XXI, è dettata dalla volontà di riflettere su continuità e momenti di rottura tra processi storici come i due conflitti mondiali, i regimi totalitari e autoritari, nonché i fronti di opposizione nati in loro risposta.

Uno sguardo non esaustivo, ma sicuramente ampio e polifonico, che intende fornire il proprio contributo all’indagine storiografica sulle pratiche sociali delle società carcerarie. A cura di Enrico Serventi Longhi e Anthony Santilli

Sfogliare il passato. La storia nei giornali italiani.

Già un secolo fa, in un’Italia alle prese con la prova della Grande guerra, lo storico Gioacchino Volpe, autore anche di articoli per i quotidiani milanesi, si chiedeva quale funzione politico-culturale potessero svolgere il passato e la sua narrazione nel turbinio del presente, e quale potesse essere il ruolo sociale dei giornalisti/storici e degli storici professionisti. Quello tra storia e giornalismo è infatti un rapporto che non è mai stato facile. Oggi quella relazione si è ulteriormente complicata; ma sembra che la storia, ormai onnipresente, abbia trionfato. Scuola di complessità o semplice intrattenimento, adesso la storia si offre come un ingrediente essenziale della comunicazione pubblica. E dalle pagine culturali alle cronache politiche, dall’istituzione di un canale Rai interamente dedicato alla musa Clio alle molte società che si occupano della costruzione di eventi di sapore storico, almeno in apparenza il passato sembra dominare l’orizzonte culturale degli italiani. Ma è davvero così?